Il tempo significativo che siamo stati chiamati a vivere, forse dalla storia che intendeva riprendere in mano le redini della propria dignità, o dalla natura che doveva necessariamente ribadire la propria signoria, ci ha inevitabilmente invitato alla riflessione. E non è affatto detto che sia concluso, non per sbeffeggiare l’ottimismo, ma perché la voce della scienza non può, ancora e comprensibilmente, esprimersi in tal senso.
Con ogni probabilità il genere umano si è vagamente trovato alla berlina di una vicenda epocale e drammatica, con l’aggravante di una politica che lo esponesse al proprio ludibrio, forse essa stessa al contempo vittima e carnefice.
Ad onor del vero, tanto ampliando l’indagine alla globalità, quanto limitandola al nostro Paese, non esiste certezza della prova contraria: chiunque si fosse trovato al Governo di qualsiasi territorio, avrebbe avuto insormontabili difficoltà di gestione del bene comune. Rimane, tuttavia, fortemente opinabile, nella fattispecie, la valenza effettiva del ‘bene comune’, se si pensi, magari, ad un’emergenza sanitaria partita in quanto tale e poi necessariamente tradotta in emergenza economica.
Il passaggio potrebbe essere stato legato all’inadeguatezza di una (qualsiasi) classe politica, ma anche alle dimensioni titaniche dell’evento. Certo è che, per forza di cose, sia stata limitata ben oltre il “minimo sindacale” l’attenzione all’uomo. E l’uomo non può che, doverosamente, rindossare gli abiti lavati e stirati del cittadino e leccarsi le ferite, consapevole, di fatto, di quanto dipenda da sé. Non è il tempo opportuno a puntare dita o erigere accuse, ma di sfruttare il riposo forzato del lockdown, fisico e mentale, per quanti ne abbiano usufruito, “liberi”, obtorto collo, da impegni lavorativi e di normale quotidianità, e mettersi personalmente in gioco. È umanamente intellegibile la tendenza a cercare i responsabili non solo di cosa stesse accadendo, ma di come si stesse riducendo lo spessore umano nell’avvicendarsi dei fatti: missione ardua ed impossibile, quanto, tuttora, inutile.
Quindi, ognuno agisca su se stesso.
Esiste un’etica dell’io, data dall’adesione della propria coscienza ad una linea comportamentale inattaccabile ed ineccepibile: dall’osservanza delle regole, per quanto intimamente discutendo le discutibili, alla spontanea cura dell’altro, anche ove non disciplinata, ma lasciata all’ordine naturale delle cose.
È innegabile che il binomio mente/cultura si orienti all’indagine, al disappunto, talvolta al fuoco della polemica, ma non è adesso che si possono difendere le ragioni da sé. Il “bene comune”, tra l’altro, ha insita la logica d’insieme. Qualora le divergenze d’opinione suscitino distanziamento ben oltre quello che convenzionalmente chiameremo “di sicurezza”, “precauzionale” e non “sociale” – facendo tesoro di un’osservazione del rimpianto maestro Ezio Bosso appena scomparso – attualmente obbligatorio, interrompano o aggravino l’incontro, il confronto e la comunicazione, ci si impegni a rivederne l’esposizione. Nessun tono e nessun contenuto siano mai violenti, né volgari, né atti alla mortificazione dell’altro: la ragione (nell’accezione del contrario di torto) stia, eventualmente, nei fatti e non nei cuori…
Non basta l’emoticon di un arcobaleno a fare in modo che vada tutto bene: il dolore che ha colpito il mondo a tappeto, perché non schiacci ulteriormente, assuma lo stigma di un’opportunità dalla quale rigenerare, davvero, il mondo, per quanto alla portata di ognuno, nella totalità della sua infinita bellezza che, presto, se Dio vuole, riprenderemo a contemplare e a vivere in pienezza, dalla forza del Creato al dono prezioso delle relazioni.
di Loredana Corrao, portavoce Papaboys e membro fondatore di ‘ItaliaSii’